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Valeria Tundo: «In Spagna ho trovato meno barriere e più dinamismo»

È nata e cresciuta a Pescara, dopo il liceo classico D’Annunzio, si è laureata alla Bocconi di Milano in Economia dei Mercati Finanziari, da tredici anni è andata via dalla sua città e da un po’ di tempo vive all’estero, a Barcellona in Spagna. Valeria Tundo, trentatré anni a settembre che si occupa di Cash Management, nel dipartimento finanziario di una multinazionale in qualità di analista di tesoreria, può considerarsi uno dei tanti cervelli in fuga, che preferiscono lavorare fuori dai confini italici perché meglio apprezzati per le loro capacità e non per le loro conoscenze o raccomandazioni.
Cosa ricorda del periodo giovanile a Pescara?
«Un’adolescenza come quella di qualsiasi coetaneo, scandita dallo struscio il sabato a piazza Salotto, pomeriggi bravi alla Fabbrica, occupazioni scolastiche, gite al lago di Scanno, estati indimenticabili nello stabilimento balneare del momento, partite di beach volley, studio matto e affannato prima di un’interrogazione, palestra e teatro. Una pescarese media, direi».
Riandrebbe via da Pescara?
«Sì, assolutamente. Rifarei tutto quel che ho fatto. Vivere fuori casa è un’esperienza che bisogna fare, se si ha la possibilità. È un modo per mettersi in gioco, conoscersi, e conoscer i propri limiti. Vivere in un ambiente nuovo, senza alcune reti di protezione, lontani dagli affetti, permette di scoprire cose di sé che uno nemmeno immagina. Ha un costo, umano prima ancora che economico, ma credo che serva. O almeno, a me è servito».
Che cosa le manca della sua città?
«Mi mancano gli affetti. È banale ma è così».

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Che cosa non c’è della sua città dove vive adesso?
«Barcellona è una metropoli europea, e in quanto tale spesso risulta alienante. Inoltre, è una città di passaggio, una città per studenti Erasmus, per giovani che vogliono fare un’esperienza di lavoro all’estero e poi tornare nel proprio Paese. In questo contesto, diventa difficile stringere legami solidi o metter radici. Pescara, dal canto suo, per quanto provinciale, è molto più vivibile e a misura d’uomo».
È vero che si vive meglio all’estero?
«Dipende da dove vai e a fare cosa. Dipende da tante cose».
Dal punto di vista lavorativo è più semplice fuori?
«Parlo per me, naturalmente, ma anche in un Paese più povero dell’Italia, ho trovato meno barriere e più dinamismo. Ho cambiato diversi lavori e ho sempre avuto contratti a tempo indeterminato. Mi sono trovata senza lavoro solo quando ho deciso io che mi serviva un anno di tempo per studiare, durante il quale ho avuto accesso al cosiddetto “paro”, il sussidio di disoccupazione».
E dal punto di vista sociale si vive bene?
«Se il riferimento è alle opportunità che la città offre, direi che Barcellona è una delle città più vive e interessanti d’Europa, se non del mondo, quindi offre molte occasioni di “socialità”. Se il riferimento è più in generale alla qualità della vita, direi che sono altrettanto soddisfatta. I catalani sono un po’ chiusi, molto chiusi, questo va detto, ma per fortuna non ci sono solo loro a Barcellona».
Torna spesso in Abruzzo?
«Tutte le volte che riesco a prendermi un po’ di giorni di vacanza e tutte le volte che ho bisogno di staccare la spina».
Cosa porterebbe di Pescara?
«La pizzeria Liceo e, più seriamente, il mare: a Barcellona c’è, ma arrivarci è un viaggio. A Pescara, ci arrivi in due secondi. Ho amici che ci vanno in pausa pranzo e per questo li invidio non poco».
Come vede la sua città dall’esterno?
«Una città che ha sempre meno da offrire ai suoi giovani, sia dal punto di vista culturale che professionale».
Come è vista Pescara all’estero?
«Onestamente non è conosciuta all’estero. A meno che non si tratti di spagnoli che hanno fatto l’Erasmus in Italia, o di fanatici di calcio che l’hanno sentita nominare grazie a Verratti, il più delle volte mi tocca precisare, quando rispondo alla fatidica domanda “di dove sei”, che Pescara è una città costiera del centro, a due ore di macchina da Roma, e che si affaccia sull’Adriatico».
Dove vive ha incontrato o frequenta suoi conterranei?
«Ho incontrato per caso alcuni conterranei in aeroporto, ma no, non sono solita frequentarli. In realtà, non ne conosco nessuno che viva qui».
Quali difficoltà ha incontrato nel trovare un lavoro e dopo quanto tempo lo ha trovato?
«Non ne ho incontrata nessuna. A dispetto della crisi e del tasso di disoccupazione, il mercato lavorativo è comunque ricettivo, permette a laureati e non di reinventarsi e darsi da fare. La padronanza della lingua italiana poi è un plus».
Come si viene accolti da emigrante?
«Senza stupore o pregiudizi. Barcellona vive di questo, senza stranieri, non sarebbe la città che è».
Ha avuto difficoltà nell’imparare una nuova lingua?
«No, perché lo spagnolo non è una lingua impossibile da imparare, anche se parlarlo bene è un altro paio di maniche. Nel mio caso, poi, sono arrivata dopo che per mesi avevo letto libri, visto film e sentito musica in lingua: una full immersion, insomma. Casomai ho avuto il problema contrario: rischio di dimenticare l’italiano, perché non lo parlo molto spesso, e a volte sovrappongo le regole dello spagnolo a quelle dell’italiano. Vorrei precisare, però, che la lingua ufficiale di Barcellona non è lo spagnolo ma il catalano, e che definirlo dialetto locale può esporti al rischio di una lapidazione su pubblica piazza»!