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Teatro, in scena al Circus “Quei due” con Dapporto e Solenghi il 9 e 10 marzo

Sono Massimo Dapporto e Tullio Solenghi i protagonisti del settimo appuntamento della 50esima stagione teatrale della Società del Teatro e della Musica che vedrà in scena sul palco del teatro Circus “Quei due” Il sottoscale-Staircase di Charles Dyer con la regia di Roberto Valerio.

Dapporto e Solenghi saranno insieme sul palco per la prima volta in un’inedita coppia omosessuale. Sono rispettivamente Charlie e Harry, due barbieri della periferia londinese che vivono insieme da una trentina d’anni tra litigi, battibecchi e la certezza di non poter fare a meno l’uno dell’altro. Una commedia che invita ad importanti riflessioni su temi sempre attuali e una gara di bravura tra due consolidati interpreti della scena italiana che si trovano per la prima volta a misurarsi con due personaggi davvero insoliti.

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Lo spettacolo andrà in scena mercoledì 9 marzo alle ore 21 e in replica giovedì 10 marzo alle ore 17.

Note di regia

Una splendida commedia sull’amore. Un amore che dura per tutta una vita. Un amore fatto di attenzioni, di cure reciproche, di affetto; e naturalmente di continui litigi, ripicche, dispetti e plateali scenate. Un vero amore. Un amore omosessuale. Protagonisti due uomini di mezza età, Charlie e Harry, di professione barbieri. Harry e Charlie sono una coppia di barbieri omosessuali “intrappolati” da circa trent’anni in una barberia londinese situata in un sottoscala dove hanno condiviso gran parte delle loro irrisolte vite; un sottoscala dagli echi dostoevskiani in cui i protagonisti si torturano reciprocamente senza sosta incapaci di risparmiarsi l’un l’altro fino allo sfinimento, in una quotidianità paralizzante e asfissiante come l’odore di gas che fuoriesce dalla vecchia caldaia e che appesta l’aria del loro negozio. Stanchi della solita routine e delle dinamiche ripetitive e frustranti che caratterizzano la loro vita e la loro relazione, i due uomini si dilaniano a vicenda con incessanti litigi, velenosi battibecchi, ingiurie crudeli e subdole ripicche, infliggendosi in tal modo inutili e continue sofferenze. Eppure Harry e Charlie sono legati indissolubilmente e disperatamente l’uno all’altro da decenni. È forse proprio quell’amore ormai lacero e stantio, ma ancora capace di accendersi e dispiegarsi con calore, l’unica cosa in grado di restituire un senso alla loro tragicomica parabola esistenziale. E così continuano, malgrado tutto, a prendersi teneramente cura l’uno dell’altro forse perché la solitudine è un abisso troppo oscuro e doloroso in cui sprofondare. Harry è una civetta effeminata e suscettibile che mal sopporta i segni impietosi impressi dal tempo sul suo corpo: incapace di accettare un’improvvisa e irreversibile calvizie, cerca di occultarla con un ridicolo turbante arrotolato intorno al capo. Per compensare un forte istinto materno inappagato e inappagabile, ricopre il compagno di amorevoli e soffocanti attenzioni accolte senza entusiasmo né gratitudine da quest’ultimo che non si lascia mai sfuggire l’occasione per schernirlo e umiliarlo. D’altro canto Charlie è un pavone consumato dal narcisismo, un attore fallito che millanta di aver goduto di una certa fama nel mondo dello spettacolo, in un passato ormai lontano e che vive nell’anonimato, ormai da decenni, al fianco di Harry. Da giovane è stato sposato, probabilmente per tentare di sottrarsi al senso di inadeguatezza e di imbarazzo procurati da un’omosessualità accettata con fatica e per cui continua a provare vergogna, tanto da non riuscire ancora a confessarsi con la decrepita e disprezzata madre, abbandonata (assecondando un malcelato istinto punitivo) in un’orrenda casa di riposo. Sorte che non disdegnerebbe di riservare anche all’inferma madre di Harry la cui presenza incombe al piano di sopra. Ha inoltre una figlia mai conosciuta che sta per fargli visita… Su tutta la commedia incombe l’ombra di un processo che Charlie dovrà affrontare per sospetto di omosessualità e per atti osceni in luogo pubblico. Quello di Harry e Charlie è un amore consumato clandestinamente in un oscuro “sottosuolo”, emblema di una felicità sacrificata, di un’esistenza votata alla dissimulazione e alla vergogna, sullo sfondo di una società omofoba, quella dell’Inghilterra degli anni sessanta, che sorveglia e punisce (per dirla con Foucault) gli omosessuali con pene severe. Una società inchiodata al giogo dell’oscurantismo, in cui essere omosessuale significava rischiare il carcere o la castrazione chimica. Una società intollerante e autoritaria che esercitava un coercitivo e arbitrario potere sui destini individuali, fissando lo scarto tra il bene e il male, intromettendosi con ingiustificabile violenza nella vita privata dei singoli, vagliandone i sentimenti, le pulsioni, i desideri e sentenziando sulla loro legittimità. Due esistenze castrate, mortificate e offese quelle di Harry e Charlie, come quelle di moltissimi altri omosessuali dell’epoca, perseguitati da una legge obsoleta che si perde nel tempo: il Buggery act adottata in Inghilterra per la prima volta nel 1533 e abolita soltanto nel 1967. La stessa legge da cui fu perseguitato nel 1895 il celebre scrittore poeta e drammaturgo Oscar Wilde – processato e poi rinchiuso in carcere per due anni – divenuto poi l’emblema della lotta di liberazione degli omosessuali tanto da essere invocato da Charlie nel testo come una sorta di divinità propizia e protettrice. Quella stessa legge poi che non può non riportare alla memoria la tragica fine dello scienziato inglese Alan Turing, il quale, nonostante avesse contribuito con le sue invenzioni a determinare la sconfitta della Germania nazista nel secondo conflitto mondiale, dopo la guerra fu condannato per omosessualità nel suo paese e sottoposto ad una abietta castrazione chimica nel 1952 che lo spinse a togliersi la vita due anni più tardi. Senza compromettere la dirompente e amara comicità della commedia, pubblicata nel 1966 e rappresentata per la prima volta nello stesso anno con la regia di Peter Hall, Dyer mostra anche un tetro spaccato della società inglese a lui contemporanea, affrontando tematiche allora scabrose e oggi ancora attualissime. In un esilarante e spietato confronto quei due nel giro di una notte si confesseranno per la prima volta in trent’anni. Con un’ironia pungente dal sapore amaro e crudele, si racconteranno sviscerando senza riserve il proprio doloroso vissuto, mostrandosi nudi in tutta la loro sincera, grottesca, fragile, arresa e sopraffatta umanità, per ritrovarsi infine, uniti nella consapevolezza di non poter sopravvivere in solitudine alle molteplici miserie che li tormentano.

Il prossimo appuntamento della stagione teatrale è sempre al teatro Circus il 18 aprile (ore 21) e 19 aprile (ore 17) con “La scena” di Cristina Comencini con Angela Finocchiaro, Maria Amelia Monti e Stefano Annoni.