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La lezione dell’arte abruzzese

Perché studiamo la Storia dell’arte? Certamente perché le opere d’arte sono cose bellissime, ci fanno passare momenti di piacere puro, ci portano oltre la banalità della vita di tutti i giorni.
Ma, se studiamo la Storia dell’arte, lo facciamo anche per altri motivi, non meno seri: in quanto ambito della Storia, in quanto prodotto della civiltà umana al suo meglio, la Storia dell’arte può orientarci nel nostro essere “nel mondo”, nel nostro essere parte integrante di una società umana quanto mai complessa e sfaccettata. Questo vale anche per la storia dell’arte abruzzese.

I momenti più significativi dell’arte d’Abruzzo sono quelli in cui essa ha saputo dialogare, aprirsi, andare oltre i propri confini, facendo così giungere sul suolo della regione le forme artistiche di Roma e del Lazio, della Puglia e della Toscana, del Gotico e del Rinascimento fiorentino; giunte in Abruzzo, queste forme artistiche si sono impiantate stabilmente e hanno cominciato a circolare e diffondersi, assumendo di conseguenza conformazioni nuove e originali.
A Santa Maria Arabona (Manoppello, PE) i monaci cistercensi impongono il linguaggio dell’architettura gotica alla propria chiesa – è il Gotico “pesante” che non abbandona la parete, tipico dei cistercensi e della più generale interpretazione italiana dell’originario Gotico francese (Fig. 1); a San Clemente a Casauria (Castiglione a Casauria, PE) il candelabro mostra orgoglioso le sue decorazioni di stampo cosmatesco e che dunque, per chissà quali vie e infiltrazioni, ci conducono a Roma (Fig. 2); il pittore trecentesco Antonio da Atri, invece, ancora a Santa Maria Arabona, ci mostra gli influssi della rivoluzione spaziale di origine giottesca e del sentimentalismo della grande pittura senese del primo Trecento (Fig. 3); nello stesso giro di anni, in Santa Maria in Piano a Loreto Aprutino (PE), una squadra di pittori realizzava l’incredibile decorazione ad affresco che riempiva le pareti della chiesa con, protagonista, il maestoso Giudizio Universale sulla controfacciata (Fig. 4): un capolavoro di pittura tardogotica, di quello stile che viene non a caso definito Gotico Internazionale; o, ancora, in quel meraviglioso scrigno pittorico che è il Duomo di Atri (TE), Andrea De Litio ostenta tutta la sua conoscenza del Rinascimento fiorentino (Fig. 5), proprio come farà nel territorio dell’Aquila e in un momento di poco successivo il pittore Saturnino Gatti.
Questi sono solo alcuni esempi: quanto ci sarebbe da dire, e quanto è stato già detto, sulle convergenze che uniscono l’arte medievale abruzzese a quella campana e pugliese! Se poi volessimo giungere a momenti più recenti, si potrebbero citare le riflessioni sull’Impressionismo di Francesco Paolo Michetti, e, nell’ambito affine della letteratura, le aperture internazionali verso la Francia e la Germania delle opere di Gabriele d’Annunzio.

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La storia dell’arte d’Abruzzo, dunque, ci insegna l’internazionalismo, l’apertura – mentale e geografica – allo straniero e al “diverso”: è nell’incontro con quel che non si conosce che si cresce e si crea il nuovo. Una lezione, inutile dirlo, tanto più importante in un’epoca di rigurgiti razzisti come la nostra, un’epoca che sta affrontando la difficilissima impresa dell’integrazione.
Dunque, si può aggiungere, appare ancora più opinabile il goffo arroccamento di alcuni dentro il proprio campanile: Antonio da Atri non aveva nessun problema a dipingere a L’Aquila come ad Atri, a Penne come a Manoppello.

Mario Cobuzzi

 

Arte e Parte è una rubrica di storia dell’arte abruzzese antica e contemporanea curata da Mario Cobuzzi (Kunst. Appunti di storia dell’arte) e Marco Pacella, (Twitter: @marco_pacella)