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Attentati a Bruxelles, il racconto di una pescarese: «Qui vedo angoscia e impotenza»

Sonia Sartor in Kozlowski è una pescarese di 37 anni che da 7 anni vive a Bruxelles, precisamente a Zaventem a poche centinaia di metri dall’aeroporto che ieri, martedì 22 marzo, è stato teatro di un terribile attentato terroristico che ha provocato decine di vittime e centinaia di feriti.

La nostra concittadina ci racconta come ha vissuto in prima persona l’esplosione delle bombe e l’arrivo frenetico di forze dell’ordine e soccorsi, ma anche di come viva una mamma di una famiglia che ha perso la certezza della sicurezza da quel tragico 13 novembre, da quando gli attentati di Parigi hanno fatto cadere l’Europa in un vortice di paura e violenza.

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Da quanti anni vive a Bruxelles?
«Vivo a Bruxelles da quasi 7 anni… esattamente a Zaventem. Appena 5 minuti di macchina dall’aeroporto».

Che cosa ha provato questa mattina nel vedere gli attentati?
«Questa mattina stavo preparando i bambini per la scuola. Stavamo quasi scendendo quando sento tanto movimento, polizia, ambulanze, sirene ma non mi spavento. Di fatto non mi aspetto nulla del genere».

Da novembre il livello di allerta è cresciuto molto, come si vive a Bruxelles? Ha paura a vivere in Belgio?
«Novembre è ormai alle spalle. Devi mettere novembre alle spalle se vuoi continuare a vivere. Ed è proprio così che funziona. Solo quando abbassi la guardia colpiscono. Lavoro in pieno centro. Parcheggio la macchina in un parcheggio privato di fronte il palazzo di giustizia e da lì si cammina per 5 minuti fino all’ufficio. Si passa davanti ad almeno 6 militari con mitra… ogni mattina. Mi vengono i brividi. Spesso. Troppo spesso. Al punto da guardare altrove, al punto di non voler vedere ancora una volta quella camionetta blindata. Perché sembra surreale, faccio fatica a credere che siamo arrivati a questo punto. Però la vita va avanti e l’ufficio deve essere raggiunto ogni mattina. Fortunatamente il nostro cervello credo aiuti a difenderci e si trova quel meccanismo contorto che ti fa “dimenticare”. Da novembre il mio bimbo più grande, da poco in camera sua, viene a dormire da noi perché sono pronta a morire ma non pronta a stare senza i miei bimbi o mio marito. Da novembre, quando lo lascio a scuola, lo guardo e lo riguardo, e stampo il suo sorriso sul mio cuore. Vorrei proteggerli sempre, ma lasciarli crescere è anche un modo per proteggerli… o almeno questo è uno dei meccanismi che il cervello passa ultimamente. A volte gli occhi si bagnano dopo un semplice abbraccio, perché se ti fermi e pensi capisci che potrebbe essere l’ultimo. Si…fa paura, paura di Bruxelles sicuramente ma non penso di potermi sentire sicura in qualche altro posto, se non uno sperduto paesino».

Da Pescara, sua città natale, in molti l’hanno contattata per sapere se stesse bene lei e la sua famiglia?
«Tanti messaggi ricevuti durante tutto il giorno, la batteria scarica dopo qualche ora. Famiglia e amici preoccupati per noi».

Si sente preoccupata pensando al futuro? Suoi amici o conoscenti hanno subìto conseguenze nel
corso degli attentati?
«Sogno sempre un futuro diverso, con fiori al posto delle armi, con zucchero a velo al posto di esplosivo… e in fondo al cuore credo le cose andranno meglio, onestamente non riesco a pensarle peggio di così. Spero abbiamo toccato il fondo e possiamo solo risalire. Prego e chiedo aiuto a chi lassù si sta prendendo cura di noi e in questi momenti ci tiene per mano. Nessuno dei miei amici è stato colpito fisicamente in prima persona, ma tutti noi siamo stati feriti. Il Belgio è piccolo ma la sofferenza è grande per tutti e il dolore e la sofferenza si sente in tutto il mondo».

Ultima: che effetto le fa vedere Bruxelles colpita e la paura negli occhi delle persone?
«Difficile da descrivere. In realtà vedo i miei occhi riflessi negli occhi delle altre persone. Vedo mamme angosciate e tanta incertezza, confusione e impotenza».

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